La sentenza della Suprema Corte a sezioni unite n. 18214 del 17.09.2015 e l'onere della prova.
Sebbene l’art. 1571 del codice civile non preveda particolari requisiti di forma per la validità dei contratti di locazione, a decorrere dall’entrata in vigore dell’art. 1, comma 4 della legge 431 del 9 dicembre 1998, è stato sancito che per la locazione di immobili adibiti ad uso abitativo “… è richiesta la forma scritta”.
In effetti la Giurisprudenza di merito e di legittimità si è a lungo interrogata sulla natura dell’obbligo di forma scritta, e se l’eventuale diversa forma avrebbe comportato una semplice irregolarità o la radicale nullità del contratto.
Si è dovuta attendere la sentenza n. 18214 del 17.9.2015, con la quale la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha definitivamente affermato il principio secondo il quale “… il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta ex art. 1, comma 4, della L. n. 431 del 1998 è affetto da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d'ufficio, attesa la ratio pubblicistica del contrasto all'evasione fiscale.
La Corte, però, richiamando espressamente le disposizioni dell’art. 13, comma 5 della medesima legge, ha distinto l’ipotesi in cui “… la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore”. In tale specifica ipotesi, al fine di tutelare la parte debole e incolpevole del rapporto contrattuale, la Corte ha preferito ritenere che il contratto non debba considerarsi radicalmente nullo ma “affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore”.
In sostanza, se è vero in linea generale che il contratto di locazione verbale è radicalmente nullo e tale nullità può essere rilevata da entrambe le parti e anche d’ufficio dal Giudice, nella particolare ipotesi in cui il locatore abbia “imposto” (facendo leva sulla sua superiore forza contrattuale) al conduttore la forma verbale (quindi un rapporto locativo solo “di fatto”), la nullità sarà rilevabile dal solo conduttore e soltanto in favore di lui.
Trattasi di una c.d. “nullità di protezione”, ottenuta mediante elaborazione dottrinale e giurisprudenziale correttiva della legge a tutela del contraente debole, le cui conseguenze saranno però, appunto, applicabili solo in presenza dell'abuso, da parte del locatore, della sua posizione dominante.
In virtù di tale speciale tutela accordatagli dal legislatore, quindi, solo il conduttore potrà far valere la nullità del contratto, ma dovrà dimostrare che la forma verbale gli è stata imposta dal locatore, mediante abuso “della propria posizione dominante all'interno di un rapporto giocoforza asimmetrico”.
Con quale conseguenza?
In applicazione delle disposizioni dell’art. 13, comma 5, il conduttore ( e solo lui) sarà legittimato a “chiedere che la locazione di fatto, nulla per vizio di forma, venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto in relazione al canone predeterminato in sede di accordi definiti ai sensi del comma 3 dell'art. 2 ovvero ai sensi dell'art. 5, commi 2 e 3”.
In deroga ai principi generali della insanabilità del contratto nullo, pertanto, la norma di cui all'art. 13, comma 5, riconosce al conduttore la possibilità di esperire una specifica azione finalizzata alla “sanatoria del rapporto contrattuale di fatto venutosi a costituire in violazione di una norma imperativa”.
Ne discende che, qualora si accerti che la forma verbale del contratto di locazione è stata imposta dal locatore e subita dal conduttore contro la sua volontà, il Giudice dovrà determinare “ex tunc il canone dovuto nei limiti di quello definito dagli accordi delle associazioni locali della proprietà e dei conduttori ai sensi del comma 3 dell'art. 2, con il conseguente diritto del conduttore alla restituzione della eccedenza pagata”.
La prova della pressione o addirittura della “violenza morale” subita per costringerlo a stipulare il contratto in forma verbale spetta naturalmente al conduttore, restando inteso che, nel caso in cui tale forma sia stata concordata liberamente tra le parti, dovranno applicarsi i principi generali in tema di nullità, con la conseguenza che il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell'immobile, in quanto occupato senza alcun titolo.
Il problema ovviamente sorge proprio nella pratica processuale, in relazione alla prova, nel senso che non sarà affatto facile per il conduttore (al quale compete il relativo onere, in ossequio alle normali regole di riparto) dimostrare che la forma verbale gli sia stata imposta, e non costituisca invece una libera scelta condivisa tra le parti.
Ad avviso di chi scrive, la prova non dovrebbe però trovare limiti di sorta e può quindi essere data anche per testimoni o addirittura per presunzioni.
Riguardo invece al diverso caso della pattuizione verbale volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, sanzionata da primo comma dell’art. 13 L. 431/98 con la nullità assoluta, nulla osta alla libertà di prova, trattandosi di simulazione relativa parziale che non incontra i limiti di cui all’art. 1417 c.c. né contrasta con il divieto posto dall’art. 2272 c.c. (“… nell'ipotesi di simulazione relativa parziale, il contratto conserva inalterati i suoi elementi, ad eccezione di quello interessato dalla simulazione, con la conseguenza che, non essendo il contratto nullo ne’ annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti. Pertanto, la prova per testimoni della pattuizione di celare una parte del canone di un contratto di locazione non incontra fra le parti i limiti dettati dall'art. 1417 cod. civ., né contrasta col divieto posto dall'art. 2722 cod. civ., in quanto una tale pattuizione non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, sicché la prova relativa ha scopo e natura semplicemente integrativa e può a tale stregua risultare anche da deposizioni testimoniali o presunzioni...” - Cass. civ., Sez. II, 02/03/2007, n. 4901).
Avv. Antonio Rubinetti