Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 febbraio 2013, n. 2767
- Infarto miocardico e dipendenza da causa di servizio -
In fatto
Con sentenza del 16/11/09 - 18/3/10 la Corte d'appello di Roma ha accolto l'impugnazione proposta da (Omissis) avverso la decisione del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che gli aveva respinto la domanda diretta all'accertamento della dipendenza della malattia dell'infarto miocardico da causa di servizio, oltre che alla condanna della convenuta (Omissis) s.p.a. al pagamento dell'equo indennizzo ed al risarcimento del danno biologico relativo ad invalidità permanente del 40% e, per l'effetto, ha riconosciuto la fondatezza della pretesa, riconducendo la malattia alla terza categoria di cui alla Tabella "A" allegata al Decreto del Presidente della Repubblica n. 834 del 1981, e condannando, nel contempo, la società alla refusione dell'equo indennizzo, nella misura di euro 35.590.59 a decorrere dall'1/1/2000, oltre che al risarcimento del danno biologico, liquidato in euro 151.691,66.
La Corte a sostegno delle pretese risarcitorie del dipendente ha ritenuto sussistente la responsabilità datoriale, dopo aver provveduto ad analizzare le condizioni ambientali e sociali del luogo in cui veniva esercitata la prestazione di lavoro, oltre che nel ritardo ingiustificato col quale, dopo il primo episodio di infarto, si era provveduto a fargli svolgere differenti mansioni (ricordiamo, infatti, che in tali casi la legge n. 300/70 prevede che il lavoratore possa essere adibito a mansioni inferiori ritenendo pertanto prevalente la preservazione del posto di lavoro).
La Corte, a sostegno della presente decisione, ha sostenuto che la perizia medico-legale aveva accertato come le condizioni ambientali e climatiche del luogo di lavoro, nonché le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, avevano rappresentato, alla stregua dei criteri di equivalenza delle cause di cui agli articoli 40 e 41 c.p., un fattore concomitante di insorgenza e di aggravamento della malattia cardiaca.
In Diritto
Secondo la Suprema Corte occorre pertanto che, l'equo indennizzo abbia la funzione di ristorare il dipendente dalle menomazioni subite a causa di infermità e a causa di servizio, per cui ai fini della configurazione di quest'ultima come presupposto per il riconoscimento del beneficio in esame deve accertarsi che i fattori lavorativi oggetto di verifica rivestano il carattere, quantomeno, di concausa efficiente e determinante alla produzione dell'evento patologico.
Per quanto concerne la nozione di equo indennizzo, la Giurisprudenza più consolidata ha stabilito che i "fatti di servizio", dai quali può dipendere una infermità o la perdita; dell'integrità fisica, sono quelli derivanti dall'adempimento degli obblighi di servizio, e che le lesioni e le infermità si considerano dipendenti da causa di servizio solo quando tale adempimento ne è stata causa ovvero concausa determinante ed efficiente (v. al riguardo Cass. sez. lav. n. 5637 dell'8/6/1999).
Quindi, il rapporto fra causa (concausa) ed evento, non può essere ricondotto ad una mera uguaglianza algebrica anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia per se sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge.
Sulla tematica in esame in passato si sono più volte pronunciate le Sezioni Unite che hanno rilevato "la portata estensiva da attribuirsi all'espressione "fatti di servizio" e la considerazione che "la perdita permanente della integrità fisica" del pubblico dipendente può risalire, seppure in forma concausale, a predisposizione organica o costituzionale a contrarre infermità e/o a preesistenti condizioni morbose, portano a concludere che nella materia in esame si rinvengono puntualmente tutte quelle esigenze che, in relazione ad ogni controversia in materia di lavoro, impongono la completezza del ricorso e della memoria difensiva nei termini innanzi indicati.
Si potrebbe pertanto ritenere che, affinché possa sussistere una "causa di servizio" in relazione all'equo indennizzo, che l'attività lavorativa possa con certezza ritenersi concausa efficiente a cagionare la patologia.
Tale storica e fondamentale sentenza non solo tutela i lavoratori che hanno subito menomazioni e danni all’integrità fisica a causa dello stress, delle vessazioni e della precarietà dei luoghi di lavoro, ma apre il varco (in una prospettiva de iure condendo) a tutti coloro che sempre a causa del lavoro patiscono problemi cerebrali dovuti a ictus emorragici e ad ischemie.
Inoltre in questi tempi in cui la razionalizzazione delle risorse umane ha comportato restrizioni di personale e l’aumento delle responsabilità in capo a pochi dipendenti (quando un tempo la responsabilità era ripartita su più risorse), si sta registrando una forte recrudescenza di problemi cardio – circolatori e cerebrali.
L’importante, affinché possa configurarsi un risarcimento del danno patito, è la sussistenza di una concausa fra evento dannoso e la vita lavorativa svolta compreso lo stato del luogo di lavoro.
Avv. Marco Mariscoli