CASS. PEN. SEZ. VI SENT. N. 4338 UD. 30/12/2014 – DEP. 29/01/2015, PRES. DI VIRGINIO, REL. DE AMICIS.
(Revoca della misura di custodia cautelare in carcere nei confronti dell'estradando)
FATTO. Eseguito l’arresto a fini estradizionali del cittadino francese F.P.M. il 7/11/2013, la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 28/03/2014, ne aveva ordinato la consegna all’autorità giudiziaria richiedente degli U.S.A., accogliendone la domanda di estradizione avanzata il 19/12/2013 per il reato di frode bancaria (bank fraud). Il 21/11/2014, l’estradando veniva scarcerato dopo che il T.A.R. del Lazio, con ordinanza del 19/11/2014, aveva sospeso l’esecuzione sia del decreto ministeriale di estradizione del 23/10/2014, sia di ogni altro atto presupposto e conseguente, compresa una nota del Direttore del Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero che prevedeva la consegna all’autorità richiedente entro il 17/11/2014. Il giudice amministrativo aveva considerato sussistenti i presupposti di cui all’art. 55 c.p.a. in relazione alle “condizioni in concreto” del ricorrente, oggetto del potere discrezionale ministeriale, sul duplice rilievo di un mancato approfondimento da parte dell’Amministrazione interessata in merito allo stato di salute ed alla quantità e qualità della pena che in caso di condanna sarebbe stata concretamente irrogata.
DIRITTO. La disciplina codicistica prevede che una volta divenuta definitiva la sentenza favorevole alla estradizione, per il soggetto sottoposto a misure cautelari, si produce ex lege una estensione temporale della coercizione personale finalizzata esclusivamente alla esecuzione dell’estradizione, decorsi i quali, l’estradando, se detenuto, deve essere posto in libertà (Sez. VI n. 28033 del 17/02/2004 dep. 22/06/2004, Terkuli). Nell’ipotesi in cui la mancata consegna all’autorità richiedente derivi da un impedimento giuridico, come nel caso in esame, conseguente ad una pronuncia del giudice amministrativo di sospensione dell’efficacia del provvedimento ministeriale, non si produce la perdita di efficacia del decreto di estradizione in questione (art. 708, comma 6, c.p.p.), che potrebbe nuovamente essere posto in esecuzione, con riapertura dei termini per la consegna, qualora il ricorso amministrativo venisse rigettato. Rimane inevitabile il dovere dell’autorità giudiziaria di porre in libertà il soggetto estradando ai sensi dell’art. 708, comma 6, c.p.p. (Sez. VI, 3/06/2014 – 10/10/2014, n. 24382).
Sul punto le SS.UU. sent. n. 41540/2006, P.G. in proc. Stosic, hanno stabilito che la misura cautelare applicata all’estradando deve essere revocata quando l’esecuzione dell’estradizione è sospesa a norma dell’art. 709 c.p.p.; la durata massima delle misure coercitive adottate ai fini estradizionali è declinata sulla base della disciplina prevista nell’art. 708 ss. c.p.p. e delle eventuali norme pattizie, come tali prevalenti su quelle codicistiche, con esclusione delle previsioni, del tutto incompatibili nel caso di specie, di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p. In sostanza le SS.UU. hanno disatteso il diverso orientamento giurisprudenziale, secondo cui, una volta esaurito il procedimento giurisdizionale relativo all’estradizione verso uno Stato estero, in forza del richiamo operato dall’art. 714, comma 2, devono ritenersi operanti i termini di durata massima delle misure previsti dagli artt. 303 e 308 c.p.p. .
Le SS.UU. nella sentenza citata soggiungono in particolare: “alle identiche conclusioni occorre pervenire anche nella ipotesi – esaminata, come si è accennato, da una parte della giurisprudenza di questa Corte - in cui la sospensione della esecuzione della estradizione non derivi dal provvedimento ministeriale adottato a norma dell’art. 709 c.p.p., ma sia stata pronunciata iussu iudicis, in sede di sospensiva disposta da parte del giudice amministrativo, a seguito di ricorso proposto avverso il decreto di estradizione. E ciò per l’assorbente rilievo che la riscontrata lacuna di disciplina riguarda ogni ipotesi di sospensione della estradizione, a prescindere, quindi, dalla autorità da cui essa promani, dalla natura e dall’efficacia del relativo provvedimento e dalle “ragioni” per cui essa è disposta o pronunciata; sicché, le stesse ragioni che valgono ad escludere l’applicabilità della disciplina dei termini di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p. al caso di sospensione di cui all’art. 709, valgono – eo magis – per l’ipotesi in cui la sospensiva derivi da una decisione del giudice amministrativo, essendo in quest’ultimo caso addirittura revocata in dubbio – con positivo riscontro circa il relativo fumus – la stessa legittimità del provvedimento di estradizione, e non soltanto differita la sua esecuzione fino a soddisfatta giustizia italiana”.
Una volta intervenuto il decreto di estradizione, lo status detentionis dell’estradando non può essere prolungato sine die, oltre i limiti ristretti indicati dall’art. 708 c.p.p., poiché in assenza di specifiche previsioni di legge si porrebbe in contrasto con l’art. 13 della Costituzione. Appartiene al medesimo indirizzo interpretativo la decisione adottata da Cass. Sez. VI sentenza n. 6567/2007, Imperiale, secondo la quale, nei confronti dell’estradando, che sia stato rimesso in libertà, una volta decorso il termine per l’esecuzione della consegna previsto nel decreto ministeriale di estradizione, a causa della sospensione della sua efficacia ad opera del giudice amministrativo, non è consentito, in assenza di una specifica richiesta del Ministro, disporre altre misure cautelari, facendo applicazione analogica dell’art. 307, comma primo, c.p.p.
Un diverso orientamento (Sez. VI, n. 12451/2011, Pilatasig Diaz), ha però affermato la perdurante efficacia dello stato di coercizione cautelare dell’estradando, la cui consegna sia sospesa per decisione del giudice amministrativo, muovendo dal presupposto che, a causa di tale ostacolo giuridico, è impedita l’ulteriore fissazione del termine per la consegna di cui all’art. 708, comma 5, c.p.p., sicché non può operare la perdita di efficacia della custodia prevista dal successivo comma 6, ma esclusivamente quello – generale e desumibile dal rinvio operato dall’art. 714 c.p.p. – connesso alla scadenza del termine massimo di durata delle misure coercitive di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p. . Il provvedimento del giudice amministrativo dunque non sarebbe assimilabile ad una causa di sospensione della consegna. Di contrario avviso, quindi, alla pronuncia delle SS.UU. sopra citata, si ritiene che la mera impugnazione del decreto ministeriale da un lato non fa venir meno l’attualità dell’esigenza cautelare del pericolo di fuga, connesso alla immediatezza della consegna, e dall’altro il ricorso amministrativo potrebbe celare proprio una finalità dilatoria, con la conseguenza che in tale ipotesi si rendono applicabili i termini di cui all’art. 303 c.p.p., ovvero la sospensione dei termini di cui all’art. 304 c.p.p. .
Questo contrasto giurisprudenziale, portato dalla Sez. VI all’attenzione delle SS.UU. con ordinanza di rimessione n. 30215 del 19 – 28 luglio 2011, non è stato risolto dalla sentenza n. 6624/2012, poiché fu dichiarata l’inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse. Si rileva parimenti che né l’art. 708, comma 5, c.p.p., né l’art. 18, comma 4, della Convenzione europea di estradizione del 1957, stabiliscono alcunché per le ipotesi in esame. La Corte costituzionale con sentenza n. 123/2007 ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 708, comma 2, e 715, comma 6 del c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione.
La pronuncia della Sez. VI in commento, alla luce delle contrapposte posizioni, intende richiamarsi piuttosto ai principi enunciati dalle SS.UU. avuto riguardo al contenuto delle fondamentali garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione e cioè che nella materia in esame non possono trovare applicazione le regole, funzionali alle esigenze cautelari del processo interno, di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p., con la conseguenza che, in ogni ipotesi in cui non si dia corso alla consegna, scatta la regola di cui all’art. 708, comma 6, c.p.p. . Le cause di sospensione o di proroga della durata di una custodia “preventiva”, infatti, non possono che essere tassative, mentre al di fuori di quanto stabilito dagli artt. 708 e 714 c.p.p. non vi sono disposizioni che le prevedano, per l’eventualità di una consegna “sospesa”, nell’ambito del Libro XI del codice di rito; né sono applicabili, per l’evidente inconciliabilità dei relativi presupposti sostanziali e processuali, i termini o le cause di sospensione, relativi alle misure coercitive adottate nei procedimenti penali “interni”, di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p. .
Ci si trova allora di fronte ad una grave lacuna normativa da colmare con un intervento volto ad eliminare ogni incertezza ermeneutica.
Avv. GIampaolo Leggieri