1. Natura del periculum quale presupposto per l’adozione del sequestro conservativo. – Le Sezioni Unite, 25 settembre 2014, n. 51660, Zambito, Rv. 261118 – hanno affermato il principio per il quale “al fine di disporre il sequestro conservativo, è necessario e sufficiente che vi sia il fondato motivo di ritenere che manchino le garanzie del credito; vale a dire che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l'adempimento delle obbligazioni di cui all'art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen.”. La Prima Sezione aveva rimesso la questione al supremo collegio, chiedendo di chiarire se per l’adozione della misura cautelare reale del sequestro conservativo si richieda la configurabilità di una situazione che faccia apparire fondato un futuro depauperamento del debitore ovvero sia sufficiente l’esistenza di una oggettiva inadeguatezza della garanzia patrimoniale in rapporto all’entità del credito. Nell’ordinanza di rimessione si evidenziava che, non essendo in discussione la finalità del sequestro conservativo di immobilizzare il patrimonio del soggetto obbligato e attuare in tal modo la piena e concreta tutela del danneggiato dal reato per il soddisfacimento del suo credito risarcitorio, un contrasto di vedute giurisprudenziali si registra invece sulla esatta individuazione dei presupposti per l’applicazione dell’art. 316 cod. proc. pen.. Per un primo orientamento, infatti (tra le risalenti, Sez. IV, 17 maggio 1994, n. 707, Corti, Rv. 198682; in anni più recenti, Sez. II, 21 settembre 2012, n. 377 44148, PM in proc. Galofaro, Rv. 254340), il periculum in mora andrebbe valutato, oltre che con riguardo all’entità del credito del richiedente, anche con riferimento ad una situazione almeno potenziale, desunta da elementi certi ed univoci, di depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in ulteriore relazione con la composizione del patrimonio medesimo, con la capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo. In contrapposizione a tali arresti si schiera un consistente indirizzo per il quale, avuto riguardo tanto alla ratio dell’istituto quanto all’esplicita formulazione della norma, il pericolo può essere ravvisato, oltre che in presenza di una situazione che faccia apparire fondato un futuro depauperamento del debitore, anche quando sussista esclusivamente una oggettiva condizione di inadeguata consistenza del suo patrimonio in rapporto alla entità del credito, indipendentemente da comportamenti di dispersione ascrivibili al debitore medesimo (fra le ultime, Sez. V, 27 gennaio 2011, n. 7481, A., Rv. 249607); ovvero quando il rischio di condotte di impoverimento può risultare amplificato dalla modestia della consistenza patrimoniale del debitore (Sez. V, 2 febbraio 2011, n. 13284, PM in proc. Frustaci, Rv. 250209). Rispondendo alla sollecitazione, le Sezioni Unite partono dal ricordare che il sequestro conservativo, dall’essere inizialmente considerato (dagli artt. 189, 190 e 192 cod. pen., espressamente abrogati dall'art. 218 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, e dall'art. 622 cod. proc. pen. 1930), un mezzo di garanzia patrimoniale per l'esecuzione, è divenuto, nel sistema del codice del 1988, una misura cautelare reale; misura che si profila e sviluppa, fatte salve le necessarie differenziazioni derivanti dalla tipologia procedimentale entro cui la pretesa viene fatta valere, attraverso un modulo pressoché analogo al sequestro conservativo civile, sia per la funzione ad esso assegnata dalla legge, e cioè impedire la disponibilità anche giuridica della cosa rendendone inefficace l'eventuale alienazione, sia per l'identità dello strumento di esecuzione, vale a dire, il pignoramento. L'art. 316 cod. proc. pen. individua i presupposti del provvedimento nel solo 378 c.d. periculum in mora, vale a dire nel «fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le predette garanzie», che diviene così elemento necessitato della fattispecie costitutiva del potere di disporre il sequestro conservativo penale. Tanto premesso, il massimo consesso nomofilattico denuncia un eccessiva enfatizzazione del contrasto, ritenuto più apparente che reale, tenuto conto che il principio di diritto nei singoli casi affermato dalle decisioni indicate come esponenziali del conflitto interpretativo è sempre riferibile ad una situazione di fatto scrutinata in base ai concreti presupposti posti a base del provvedimento che dispone o nega la misura. Monitorando attentamente la giurisprudenza formatasi sulla questione, le Sezioni Unite osservano infatti che talvolta si è in presenza di fattispecie in cui il principio di diritto resta ampiamente condizionato da una concreta situazione di fatto che non esclude l'operatività del solo primo presupposto (Sez. IV, 2 aprile 1995, n. 2128, Fedele, Rv. 204414); in altre è l'entità del credito a rendere illegittima la cautela (Sez. 5, 2 febbraio 2011, n.13284, Frustaci, Rv. 250209); in alte ancora, ci si trova di fronte ad una situazione nella quale la cumulabilità tra i due presupposti non è affatto riconosciuta, venendo in considerazione il solo pericolo di dispersione (Sez. VI, 15 marzo 2012, n. 20923, Lombardi, Rv. 252685). Lo scrupoloso esame delle pronunce conduce la Corte a conformarsi alla linea interpretativa secondo cui il periculum in mora è presente non solo quando si disperdano, ma anche solo quando manchino le garanzie delle obbligazioni nascenti da reato; e il principio secondo cui il pericolo può essere ravvisato, alternativamente, sia in presenza di elementi oggettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito, sia quando ricorrano elementi soggettivi rappresentati dal comportamento del debitore, risulta, a ben vedere, informare l’intera giurisprudenza di legittimità (in aggiunta a quelle citate, cfr. anche Sez. VI, 26 novembre 2010, n.43660, Cesaroni, Rv 248819; Sez. Vi, 6 maggio 2010, n. 26486, Barbieri, Rv. 247999). 379 E del resto - osservano le Sezioni Unite - le condizioni perché venga in essere il presupposto sono indicate dal legislatore, in modo assai chiaro, nella "mancanza", intesa come insufficienza o inadeguatezza del patrimonio del debitore, o nella "dispersione", per effetto di cause tanto di ordine oggettivo (ad esempio, la deperibilità del bene che a ben vedere è forse più accostabile alla situazione di “mancanza”) quanto di ordine soggettivo, dipendenti cioè dal contegno del debitore il cui patrimonio corra il rischio di dissolversi, anche se non necessariamente al deliberato fine di sottrarlo alla garanzia per l'obbligazione ex delicto; e ciò in ossequio alla finalità di garanzia del credito, che non può realizzarsi prescindendo anche da una situazione statica che renda impossibile, in base alla situazione di fatto esistente al momento della cautela, la realizzazione del credito all'esito del giudizio. In ultimo, le Sezioni Unite ricordano come tale linea interpretativa sia del tutto conforme a quella seguita dalla giurisprudenza civile nell'interpretazione dell'art. 671 cod. proc. civ., in base al quale il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere le garanzie del credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento. Le Sezioni civili della cassazione – cfr. Sez. III civ., 31 febbraio 2002, n. 2081, Rv. 552250; nello stesso senso, Sez. III civ., 26 febbraio 1998, n. 2139, Rv. 513090 - hanno infatti sempre ritenuto che l'espressione "perdere la garanzia" vada intesa nel senso che, nel convalidare il sequestro conservativo, il giudice di merito può fare riferimento a criteri oggettivi, rappresentati dalla capacità patrimoniale in relazione all'entità del credito, ovvero a criteri soggettivi rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente temere atti di depauperamento del patrimonio. Il richiamo è giudicato non solo opportuno, ma pressoché dirimente della questione, considerato che l’assetto individuato dall’art. 671 cod. proc. civ. può dirsi quasi sovrapponibile sia sul piano strutturale (fatta eccezione per il fumus) sia sul piano funzionale alla disposizione dell'art. 316 cod. proc. pen., e 380 che appare speculare rispetto alla intenzione normativa di trasformare il precedente regime di garanzia patrimoniale (anche per la parte civile), sistemandolo all’interno delle misure cautelari reali. 2. Legittimazione della parte civile ad impugnare il provvedimento di revoca o annullamento del sequestro conservativo disposto in suo favore. – Sempre in tema di sequestro conservativo, le Sezione Unite – Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 47999, Alizzi, Rv. 260895 – hanno affermato il principio per il quale “la parte civile non è legittimata a ricorrere per cassazione contro il provvedimento che abbia annullato o revocato, in sede di riesame, ai sensi dell’art. 318 cod. proc. pen., l’ordinanza di sequestro conservativo disposto a favore della stessa parte civile”. Secondo un primo orientamento (Sez. VI, 31 gennaio 2012, n. 5928, P.C. in proc. Cipriani, Rv. 252076; Sez. VI, 9 aprile 2013, n. 20820, Imp. P.C. in proc. Tavaroli ed altri, Rv. 256231), pur non tacendo la discrasia che sembra derivare, a prima vista, dalla possibilità per la parte civile di impugnare in sede di riesame il provvedimento applicativo (reso con “ordinanza”) di un sequestro conservativo, ma di non poter impugnare successivamente per cassazione la decisione del riesame, deve tuttavia concludersi nel senso che la parte civile non ha titolo per proporre impugnazione in ragione del contenuto testuale del comma 1 dell'art. 325 del codice di rito, che non la contempla fra i soggetti legittimati: viene infatti osservato che il comma 2 della norma citata attribuisce inoltre il diritto a proporre ricorso per saltum (cui ricollegare possibilmente la legittimazione alla proposizione del ricorso ordinario) solo contro i “decreti” applicativi di sequestro, ossia avverso una tipologia di provvedimenti prevista unicamente per il sequestro preventivo e per il sequestro probatorio, ma non per il sequestro conservativo, disposto invece con “ordinanza”. Per quanto suscettibile di discussione, tale esito interpretativo non può – secondo tale indirizzo – considerarsi irragionevole, poiché la descritta dinamica impugnatoria non diviene limitativa dei diritti 381 della parte danneggiata costituitasi parte civile, alla quale non è sottratta la possibilità di esercitare l’azione civile a tutela, primaria e diretta, delle sue pretese risarcitorie. Nella giurisprudenza della Cassazione si è sviluppato però, in anni sostanzialmente coevi al primo indirizzo, un diverso ma non isolato orientamento (Sez. V, 7 novembre 2012, n. 4622/2013, P.C. in proc. Dazzi, RV. 254645; da ultimo, Sez. VI, 3 maggio 2013, n. 25449, P.C. in procedimento Polichetti ed altro, Rv. 255473), secondo cui l'art. 325 comma 1 cod. proc. pen., riguardato all'interno del sistema delle cautele reali, deve essere posto in relazione con gli artt. 325 comma 2 e 318 cod. proc. pen. i quali, riconoscendo la legittimazione a proporre la richiesta di riesame o il ricorso diretto per cassazione a “chiunque abbia interesse”, consentono di ricomprendere fra tali soggetti anche la parte civile, alla quale deve essere di conseguenza riconosciuto anche il potere di proporre impugnazione, per effetto di quanto disposto dall'art. 325, comma 1, del codice di rito. Nel risolvere il contrasto, le Sezioni Unite partono dal confutare radicalmente proprio la tesi, più volte sostenuta nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui anche la parte civile è legittimata a proporre richiesta di riesame contro il provvedimento che ha disposto il sequestro conservativo qualora vi abbia interesse, osservando come l’unica ipotesi in cui tale interesse è concretamente ipotizzabile si ha nel caso in cui la richiesta di sequestro conservativo sia stata assentita solo parzialmente: accoglimento parziale che però, rovesciando la visuale prospettica, equivale ad un diniego parziale della richiesta, rispetto al quale deve escludersi ogni potere impugnatorio della parte civile, anche alla luce di quanto affermato nell’ordinanza della Corte costituzionale n. 424 del 14.12.1998, secondo cui non sussiste alcuna lesione del diritto alla tutela giurisdizionale a seguito della mancata previsione dell'impugnabilità del provvedimento di diniego del sequestro conservativo. 382 Ad avviso delle Sezioni Unite, una volta allora esclusa la legittimazione a proporre riesame – mezzo di impugnazione predisposto dal legislatore a favore di soggetto diverso (l’imputato; il responsabile civile) da quello che ha attivato la richiesta – dovrebbe in teoria essere negato anche il diritto della parte civile a ricevere avviso dell’udienza di riesame in camera di consiglio (e dell’eventuale successiva udienza fissata per la trattazione del ricorso per cassazione), nella misura in cui l’art. 324 comma 6 del codice di procedura precisa che l’avviso è comunicato al pubblico ministero e notificata al difensore e “a chi a proposto la richiesta”, nell’accezione appena chiarita (che ne estromette appunto la parte civile); tuttavia - prosegue il supremo collegio – tale questione specifica non è più discutibile, in quanto il costante orientamento di legittimità (ex multis, Sez. VI, 17 marzo 2008, n.25610, Figini e altri, Rv. 240366), che costituisce “diritto vivente”, ha riconosciuto definitivamente alla parte civile il diritto all’avviso, in ossequio alla giuridica necessità che anche nel procedimento incidentale sia pienamente osservato il principio del contraddittorio. Sulla base di tali premesse ricostruttive del sistema delle cautele reali è spiegabile – secondo le Sezioni Unite – perché l’art. 325, comma 2, cod. proc. pen., nel contemplare il ricorso diretto per cassazione faccia riferimento al “decreto”, laddove i provvedimenti concernenti il sequestro conservativo sono pronunciati con ordinanza: in coerenza cioè con l’assunto che ne esclude il diritto sia a proporre riesame (perché priva di interesse) che ad impugnare il diniego della richiesta (al pari del pubblico ministero), alla parte civile non è consentito proporre tanto il ricorso per saltum, quanto - ai fini della questione rimessa - il ricorso avverso l’ordinanza del riesame che annulla il sequestro conservativo. Un tale assetto, ispirato sia al favor separationis che al complementare principio di accessorietà dell’azione civile inserita nel processo penale, è infine immune – secondo il supremo collegio – da sospetti di incostituzionalità derivanti da possibili vulnera arrecati alla posizione della 383 parte civile, soggetto che può far rimettere (e così far valere) la propria pretesa anche cautelare davanti al giudice civile, mediante la revoca della propria costituzione in sede penale.
Avv. Germano Paolini